sabato 23 aprile 2011

H.P. Lovecraft - H.P. Lovecraft (1967) & Lemon Pipers - Jungle Marmalade (1968)


Gli statunitensi H.P. Lovecraft sono diventati negli anni un vero e proprio gruppo di culto tra gli appassionati del sound psichedelico delle fine dei seventies.
In effetti la vita della band ebbe breve corso,due anni (1967-1969), ed appena due album pubblicati (se non consideriamo un live e due album successivi usciti però sotto altri nomi): conclusa l’avventura il gruppo è presto caduto nel dimenticatoio.
I cultori della psichedelia, del nascente sound che mescolava sperimentazione, strutture più articolate e immagini surreali e allucinate ebbero però pane per i loro denti.
L’album che consiglio è il primo, omonimo (anche se a dir il vero anche il secondo porta il nome della band affiancato ad un poco originale II): dieci brani (ancora) tutti dalla durata abbastanza contenuta che mescolano il profetico sound alla Jefferson Airplane con la struttura più semplice del blues, gli accenni folk con momenti di pura sperimentazione sonora.
Ascoltare l’opener “Wayfaring stranger” per capire come il folk ebbe un ruolo determinante nella genesi della psichedelia che poi porterà alla nascita delle prime cellule prog (basti pensare a band quali Comus, o ancora più semplicemente ai Jethro Tull); non mancano neanche i rimandi al pop, come dimostra “Let’s get togheter”, il sound più elaborato di “I’ve been wrong before”, oppure ancora la (quasi beatlesiana) scanzonatoria “The time machine”.
 
Stessa sorte ebbe un’altra interessante band statunitense che opero’ proprio nei 2/3 anni in cui furono in piena attività anche gli H.P.L.: i Lemon Pipers, direttamente dall’Ohio.
Se per il gruppo precedente abbiamo parlato di una forte componente folk, di sound più curato e tendente alla sperimentazione quasi progressiva, in questo caso le cose si semplificano decisamente.
I Lemon Pipers (anche loro fautori di soli due album in studio) registrano nel 1968 il lavoro di cui parlerò brevemente, cioè “Jungle Marmalade”.
Già dal titolo fantasioso e dalla bella copertina colorata capiamo che l’influenza degli ultimi Beatles deve essere presente in qualche modo; in effetti, sebbene la band sviluppa un sound personale e molto convincente, gli echi dei quattro di Liverpool ci sono, e qua e là si sentono affiorare.
La coloratissima e immaginifica psichedelia delle più o meno importanti band statunitensi del periodo si fonde col blues più puro e con la forma canzone semplice e diretta in brani come “Hard core”, mentre la grande influenza beatlesiana è elaborata alla grande in brani quali “Love beads & meditations” o l’opener “Jelly Jungle”.
Non manca la visionarietà dei testi (“I need someone” o la stessa “Jelly Jungle”) e nemmeno la struggente ballad “Everything is you” che fa il verso ad un certo sound “popeggiante” alla Procol Harum.
Molto bella e interessante è la malinconica “Mirrors”, che riassume nella sua breve durata il sound ricco ma allo stesso tempo subito comprensibile della band.
Due buoni album per due band poco conosciute, che sicuramente nel loro piccolo hanno contribuito a rendere grande la scena ricca ed entusiasmante della psichedelia statunitense.

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