Senza addentrarmi in una vera e propria recensione vorrei portare l’attenzione su due album di culto; come spesso accade questi album si trovano sull’orlo del baratro, in equilibrio precario tra l’essere ignorati e l’essere esaltati da una ristretta cerchia di fan, a discapito della loro indiscussa e oggettiva validità.
Il primo di cui vorrei parlare è il self titled dei Black Merda (1970), di sicuro la band con il nome più equivoco della storia della musica: infatti la pronuncia esatta sarebbe “black murder”, essendo “merda” la contrattura del vocabolo murder in slang afro-americano.
Cosa ci propongono i quattro musicisti di Detroit?
Il primo nome che viene in mente ascoltando un brano a caso degli undici che compongono l’album è quello di Jimi Hendrix: non solo la voce del leader Anthony Hawkins si avvicina per timbro e stile a quella del grande chitarrista, ma anche il groove e la scelta dei suoni rimandano al tipico sound hendrixiano.
Ci muoviamo comunque nelle coordinate di un blues rock ricchissimo di spunti interessanti, tra fughe psichedeliche e ritmiche coinvolgenti; il mood soul di alcuni brani rende il tutto più roots, mentre l’aggressiva ritmica funk di altri dona una modernità e un’energia incredibile.
Tra i brani migliori troviamo “Ashamed”, di stampo chiaramente hendrixiano, ma comunque validissima e ricca di carica funky; anche l’opener “Prophet” non è da meno in fatto di groove ed energia.
Molto belle sono anche “Reality” dove la voce raggiunge grandi picchi di espressività, nonchè la seguente “Windsong”, blues minore strumentale ricco di feeling.
In generale un bell’album, a cavallo tra il blues più puro che guarda al soul e quello più psych sulle orme del migliore Hendrix.
Obbligatorio per gli amanti dei suddetti generi.
L’altro album di cui parliamo brevemente è “Phallus Dei” degli Amon Duul II, datato 1969.
Sicuramente tra i più rappresentativi e migliori album della cosiddetta scena krautrock, “Phallus Dei” resta ancora oggi un album sconosciuto ai più, sicuramente a causa anche della sua natura particolare e decisamente non semplice e diretta.
Col termine krautrock si intende una pionieristica scena di gruppi e musicisti sviluppatasi in germania nei primi anni settanta, attivi nella sperimentazione strumentale e attenti alle nuove frontiere dell’elettronica, che sovvertirono la struttura della canzone per avvicinarsi ad architetture più ricche e complicate con particolare attenzione alla natura “ipnotica” e psichedelica (non nell’accezione californiana del termine) della musica.
Per citare i più famosi troviamo tra le file di questa nuova scena band come i Faust, i Popol Vuh e i seminali Ash Ra Tempel.
La line up di “Phallus Dei” comprende ben dieci membri, per un grande numero di strumenti: dalle percussioni più diverse al sassofono, dal vibrafono al violino.
I cinque brani ci conducono in un viaggio ai limiti del cosmo, tra vere e proprie visioni allucinate, atmosfere surreali e lievemente decadenti.
Apre “Kanaan”, dai bellissimi fraseggi di chitarra e vibrafono incastonati nel caos sonoro e percussivo, nonchè dalla suggestiva voce declamata.
Nei sei minuti di “De gutet, schonen, wahren” assistiamo ad una irreale prova vocale in uno stile che può ricordare quello dei Comus, tra chitarre ultra distorte e percussioni ipnotiche.
Si continua con “Luzifers Ghilom”, arricchita da un bell’organo e da un finale che sa di rituale orgistico in onore di chissà quale divinità pagana e perversa (come direbbe il buon Lovecraft).
I due minuti di rullo di tamburi di “Henriette Krötenschwanz” ci portano alla conclusiva e mastodontica title track, dalla durata di ben venti minuti, vera e propria sintesti (si fa per dire!) di quello che è il sound degli Amon.
Album ultra consigliato a tutti senza eccezioni…quello degli Amon Duul II è un viaggio che prima o poi bisogna fare!
Nessun commento:
Posta un commento