lunedì 2 maggio 2011

Le Orme - Collage (1971)


Secondo album, ufficialmente lanciato sul mercato nel 1971, per Le Orme, una delle più importanti realtà nel progressive rock italiano fino ad oggi.
Il gruppo nasce nel 1966 con l’ondata beat, che portò alla formazione di decine e decine di formazioni sul suolo italiano, molte delle quali si sciolsero dopo una vita abbastanza breve.
Nel caso delle Orme è andata diversamente: il 1970 porta una svolta nel sound della band, quando le strutture semplici, la forma della canzone pop portata alla ribalta dai gruppi britannici e dai primi loro followers italiani vengono accostate (e parzialmente abbandonate) a nuovi orizzonti musicali.
Ci si sta avvicinando, infatti, ad una svolta fondamentale, quella che portò molti gruppi beat alla sperimentazione strumentale e concettuale sulla propria musica, sulla scia anche delle nuove sonorità che provenivano dagli Stati Uniti, oltre a quelle già più sfruttate, ovvero quelle inglesi.
E’ il caso delle Orme, il quale beat, se vogliamo anche un po’ “ingenuo”, ma sicuramente di successo, prende la strada più ardua e complicata: una strada che non aveva un termine visibile, senza risultati certi, la strada del progressive.





Con l’uscita di “Collage”, nel 1971, ci troviamo di fronte a questo bivio: siamo a cavallo tra la canzone beat e le divagazioni strumentali, gli accompagnamenti funzionali al testo e il protagonismo della tecnica dei diversi musicisti.
La line up comprende: Aldo Tagliapietra al basso e voce (storico leader, abbandona la band solo in tempi recenti), Antonio Pagliuca alle tastiere e Michi de Rossi alla batteria e percussioni.
Già dalle prime note dell’intro possiamo capire come il sound si allontana dalla semplicità musicale per avvicinarsi a qualcosa di più ragionata, cerebrale se vogliamo, ma comunque legato ad una tradizione italiana di melodia e costruzione tematica.
Dopo la bellissima introduzione strumentale (dove compare anche una citazione di una sonata scarlattina, la K 380), l’album prende il vero e proprio avvio col primo brano.
“Era inverno”, grande classico della band, mostra proprio quello che abbiamo detto fino ad ora: ad una prima parte senza dubbio sulle coordinate del beat italiano, dove il testo di semplice fattura è protagonista, si contrappone una sezione centrale strumentale dove l’organo ha il ruolo di protagonista.
Il tempo è quasi sospeso, come a segnalare un’interruzione nel normale fluire della canzone, per poi riavvicinarsi a ciò che avevamo già sentito per la conclusione.
Allo stesso modo, ma con risultati molto migliori, si comporta il brano successivo “Cemento Armato”: la sezione centrale strumentale è veramente di altissima qualità mettendo in mostra le qualità tecnico artistiche di tutti i membri della band (anche se l’organo di Pagliuca è ancora il vero e proprio protagonista).
“Sguardo verso il cielo”, che sicuramente molti appassionati di prog italiano conosceranno, è il brano migliore dell’album: il lavoro alle tastiere è essenziale ma grandioso, gli interventi vocali pure, il tutto sotto una veste che rimanda quasi alla P.F.M. meno “cervellotica“.
Un intermezzo strumentale di circa sei minuti, “Evasione totale”, ci introduce agli ultimi due brani dell’album.
“Immagini” è un godibile brano pop, in questo caso inteso come versione ulteriormente semplificata e resa cantabile del beat: in generale è un buona ballata, dove la parte del leone la fanno di nuovo le tastiere e l’organo che accompagna le strofe in maniera molto valida.
L’album chiude con la più interessante “Morte di un Fiore” che mescola gli aspetti più interessanti del sound delle Orme fino a quel momento; troviamo quindi una struttura strofica che si ripete in una sorta di crescendo ritmico, il tutto condensato in meno di tre minuti.





Siamo ancora distanti da un capolavoro quale “Felona e Sorona” (1973, non tanto temporalmente ma concettualmente), vera e propria pietra miliare del progressive rock italiano: il territorio è ancora da delimitare, la band procede a tentativi cercando di non eccedere nell’utilizzare le nuove influenze ma con la voglia di innovare e allontanarsi dal semplice sound beat “alla moda”.
Album consigliato agli amanti del progressive più accessibile (che sicuramente lo conosceranno già!) e a chi vuole conoscere una testimonianza interessante sul periodo a cavallo tra due importantissimi generi musicali nell’ambito italiano.

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