Anche questa volta vorrei portare l'attenzione su qualche album più o meno celebre della storia del jazz, cercando per ognuno di sottolineare le caratteristiche principali e i punti salienti in modo da dare un'idea il più possibile completa in poche righe.
Iniziamo con un vero e proprio capolavoro, direttamente dal 1961, "Boss Tenors: Straight Ahead from Chicago", che vede come protagonisti due grandi del sax quali Sonny Stitt (alto e tenore) e Gene Ammons (tenore).
La line up è completata da Buster Williams al basso, John Houston al piano e George Brown dietro le pelli.
Tra i brani proposti in questo album troviamo due tra i più amati e suonati standards di sempre, "There is no Greater Love", qui in una veste brillante e dinamica con continui scambi tra i due leader che sfruttano la struttura ben delineata del brano, e "Autumn Leaves".
Quest'ultima, nelle mani sapienti di Stitt e Ammons, acquista un sapore decisamente bluesy rendendo particolarmente originale l'esecuzione.
Troviamo poi due blues firmati entrambi da Gene Ammons, il meduim "The One Before This" e il ben più sostenuto "Blues Up and Down" (che vede la collaborazione di Sonny Stitt alla scrittura del brano).
I due musicisti continuano a rincorrersi con continui scambi più o meno ampi, riuscendo però a mantenere un'assoluta continuità formale sulla struttura dei brani.
Ed è un atro blues, uno slow, a chiudere l'album, questa volta accreditato a Sonny Stiss: "Counter Clockwise"; ci muoviamo sulle coordinate del vero e proprio roots blues, che riacquista temporaneamente accenti bop nei chorus dove il tempo viene raddoppiato.
Disco bellissimo e fondamentale, che segna l'incontro tra due grandi sassofonisti alle prese con brani tutt'altro che "difficili" o "for musician only", per parafrasare il titolo di un famoso album bebop.
Sembrerà banale dirlo, ma di Charlie Parker non si finirà mai di parlare; noi oggi lo facciamo prendendo in esame una bellissima registrazione datata 1952, una grande jam session nella quale, al fianco di Bird, troviamo musicisti del calibro di Ben Webster (sax tenore), Ray Brown (contrabbasso), Oscar Peterson (piano) e dalla swinging guitar di Barney Kessel, oltre ad una ulteriore manciata di artisti.
Quattro brani (dalla durata media di quindici minuti) per un'ora di musica; cominciamo subito con il ritmo trascinante di "Jam Blues", basato su una semplicissima struttura blues in Si bemolle sopra la quale i musicisti hanno la possibilità di improvvisare, mantenedo sempre quel feeling "blue" necessario.
La jam infuocata continua con l'esecuzione del classico di Cole Porter, "What is This Thing Called Love?" (1930), dove risalta un grande assolo di Charlie Shavers alla tromba, accompagnato dall'essenziale ma ottimo background del resto dei fiati.
Dopo tanto movimento ecco Bird e soci rallentare i ritmi, per riposarsi su un sicuro, rilassante ma toccante medley delle ballad più amate dallo stesso Parker, tra le quali "All the Things You Are", "Dearly Beloved" e "The Nearness of You".
Chiude l'album (e la jam session) "Funky Blues", uno slow blues dal sapore New Orleans incontaminato da qualsiasi influenza bop e moderna: il modo adatto per concludere una grande e stimolante jam.
Quattro anni dopo la registrazione dell'album di cui abbiamo appena parlato usciva "J is for Jazz", album che vedeva il quintetto del grandissimo trombonista J.J. Johnson alle prese con una decina di ottimi brani.
Una impeccabile sezione ritmica guidata da Elvin Jones alla batteria e Wilbur Little al contrabbasso (sostituito in tre brani da Percy Heath) accompagna i musicisti attraverso l'esecuzione di brani di diversa natura: dall'up tempo di "Cube Steak", "Naptown U.S.A.", "Overdrive" alle ballad "It Might As Well Be Spring" e "Angel Eyes".
Tra tutti i brani spicca l'esecuzione del classico di Miles Davis "Solar", il quale tema sembra scritto apposta per il registro grave del trombone di Johnson.
Ultimo rapidissimo consiglio/riscoperta: la registrazione della leggendaria session di Louis Armstrong e Duke Ellington (1961), dove i due musicisti si cimentano nella rilettura dei classici che li hanno resi immortali.
Troviamo quindi una versione "ridotta" del classico ellingtoniano da big band "In a Mellow Tone", dove il clarinetto di Barney Bigard dialoga con la tromba di Satchmo durante l'esposizione del noto tema.
Stessa cosa con "It Don't Mean a Thing", dove la tromba di Armstrong cimentandosi in passaggi e soli di poche note riesce a far decollare ulteriormente un brano che di certo non manca di swing.
Tra i brani migliori includiamo di sicuro una bellissima "The Beautiful American", dove il trombone di Trammy Young dialoga con le note ben più acute del clarinetto, mentre la tromba espone un tema tanto semplice quanto efficace.
E poi potremmo andare ancora avanti, con "Drop Me Off At Harlem", "Mood Indigo" e una dozzina di altri brani degni di ogni attenzione.
Fondamentale.
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