venerdì 3 giugno 2011

Deep Purple - Stormbringer (1974)

Nei primi mesi del 1974 i Deep Purple pubblicano quello che sarà il più grande successo della band nell’era Coverdale: “Burn”.
Dopo l’abbandono di Ian Gillan (voce della cosiddetta mk II, e frontman attuale) e Roger Glover (bassista, presente dagli inizi), rispettivamente sostituiti da un giovanissimo David Coverdale e da Glenn Hughes, il sound della band inglese prende una definitiva svolta.
Il principale nucleo compositivo ruota ancora attorno ai due storici componenti, ovvero Richie Blackmore e Jon Lord, ma non bisogna dimenticare l’apporto dei due nuovi arrivati: nei crediti di “Stormbringer”, infatti, vediamo la firma di Coverdale in tutti i brani dell’album, mentre Hughes partecipa alla scrittura di ben sei pezzi.
La straordinaria produttività e collaborazione dei due nuovi arrivati porta quindi ad un’evoluzione del sound, che da una solida base hard in perfetta linea con quello che era il souno dei primi anni ‘70 si sposta verso un hard rock ricco di sfumature, dal funky al soul, senza però mai dimenticare quelle che sono le radici bluesy della band.
La nuova natura della band però porterà all’insoddisfazione del problematico Blackmore, che in passato aveva già dimostrato il proprio carattere da leader causando la rottura con Gillan; il chitarrista, coinvolto in nuovi progetti e mosso da nuovi interessa musicali, lascerà prontamente i Purple per creare i Rainbow insieme al fidato R.J. Dio (Blackmore sarà sostituito da Tommy Bolin per le registrazioni e il tour di “Come taste the Band”, 1975).
Purtroppo “Stormbringer” non eguaglierà il successo dello straordinario “Burn”.




La title track apre nel modo migliore possibile l’album, dal suo andamento da mid tempo fino ad arrivare al bellissimo refrain, arricchito dai fraseggi di un Blackmore più che mai ispirato; inoltre il solo di chitarra, anche se uno dei più semplici e meno virtuosi, è forse uno dei più espressivi mai usciti dalla Stratocaster del musicista inglese.
“Love don’t mean a Thing” si muove a ritmo funk, tra chitarre pulite dal suono ricchissimo e una sezione ritmica dal gran groove; non possiamo non notare poi l’apporto vocale di Hughes: la voce acuta e potente del nuovo bassista funge da perfetto contrappunto a quella calda e profonda di Coverdale.
Con “Holy Man” e “Hold On” ci muoviamo sempre sulle stesse coordinate: la prima quasi sulla struttura da power ballad, con un bel refrain contrapposto ad una strofa super cantabile, la seconda dal sapore più blues, cantata in strofe alternate da Coverdale e Hughes.
Torniamo quasi ai tempi di “Burn” con “Lady Double Dealer”, tra i brani più belli dell’album: un energico pezzo di puro hard rock, dove un sicurissimo Blackmore sforna uno dei riff più convincenti di sempre.
Da notare anche il bridge melodico, in perfetta linea con quanto la band vuole proporre in termini di novità nel sound.




Decisamente funkeggiante è la coinvolgente “You can’t do it right”, cantata da tutte e due le voci in un perfetto alternarsi; notiamo quasi per la prima volta la presenza di Lord grazie ad un azzeccato solo di synth (la presenza del tastierista è notevolmente diminuita in termini solistici e di “volume“).
Si rockeggia decisamente di più con “High Ball Shooter”, brano perfetto, dal tiro deciso e dalla struttura ben architettata: di nuovo le voci si alternano creando contrasti da brividi e Lord ci regala un bellissimo solo old style di organo.
“The Gypsy” rappresenta una piccola anticipazione di quello che sarà il sound dei Rainbow: ritmiche spesso in mid tempo, tonalità minori, atmosfera “epica” e un Blackmore che predilige l’espressività e la melodia allo sfoggio della tecnica.
Grandissimo brano.
Conclude quella che è la più bella ballata della band inglese, “Soldier of Fortune”.
La voce di Coverdale poche volte è stata cosi’ ispirata e struggente, e Blackmore non è mai stato cosi’ abile come in questo caso nel comporre qualcosa di veramente toccante.




“Stormbringer” è un ottimo album, forse colpevole di essere uscito a nemmeno un anno di distanza dal capolavoro “Burn” e quindi eclissato dal successo più duraturo del precedente.
Le acque si muoveranno di nuovo, il sound subirà altri mutamenti, a partire già dal lavoro successivo e dall’entrata di Bolin.
Ma di questo parleremo più avanti.

Nessun commento:

Posta un commento