venerdì 22 aprile 2011

Deep Purple - Last concert in Japan (1977)

Tutti hanno ascoltato almeno una volta (o almeno sentito nominare, spero!) il mitico "Made in Japan", il leggendario live registrato dai Deep Purple durante il tour in Giappone del 1972.
Impossibile dimenticare l'energia di "Higway star" presentata quasi in anteprima al pubblico mondiale con questo live, o la leggendaria performance vocale di Gillan in "Child in Time".
E la lunghissima versione di "Space Truckin", i giochetti vocali di Gillan in "Strange kind of Woman"?
Cose dell'altro mondo.


L'album stampato in due lp venne poi trasportato su cd unico, mentre le ultime riedizioni (dal 1998) comprendono un ulteriore disco con i bis ("Black night", "Speed king" e "Lucille").
Insomma "Made in Japan" rappresenta il caso (raro) in cui un live rientra decisamente tra i capolavori della band, superando addirittura molti titoli registrati in studio.

Quello di cui vorrei parlare brevemente oggi non è pero' questa pietra miliare del rock settantiano, ma un altro molto meno noto, registrato sempre in Giappone, nel 1975 ma distribuito solo due anni dopo (e nella versione completa nel 2001).
Il tour è quello in supporto a "Come taste the band" (1975), il decimo album in studio e il terzo con la presenza di David Covrdale alla voce e Glenn Hughes al basso (la nuova formazione era già presente da "Burn" del 1974 e "Stormbringer", 1975).
"Come taste the band" è anche il primo album dopo la prima dipartita di Blackmore: al suo posto viene reclutato un giovane e promettente chitarrista, Tommy Bolin.

Il live venne registrato con questa formazione il 15 dicembre 1975 al Budokan di Tokyo: la scaletta presenta 3 brani dall'ultimo "Come taste the band", un brano tratto da "Burn" e un altro da "Stormbringer", 2 da "Machine Head" più una ripresa strumentale di "Woman from Tokyo" e "Wild Dogs", brano interamente composto e cantato dal nuovo arrivato Bolin.


La maturità acquisita da Coverdale alla voce è impressionante: dietro al microfono dimostra una sicurezza incredibile, anche con i pezzi di Gillan ("Smoke on the Water" e "Highway Star"), nonchè un carisma non comune.
Hughes non è da meno nei suoi interventi vocali (ascoltare la sua strofa in "Smoke on the water" per credere), anche se i famosi acuti di "Burn" non raggiungono il livello di un altro altrettanto valido live registrato l'anno prima, il mitico "California Jam".
I tre brani tratti da "Come taste the band" acquistano maggiore credibilità, anzi, risultano più compatti ed energici rispetto alla versione in studio.

Per quanto riguardo la prova alla chitarra di Bolin, bisogna notare come siamo distanti anni luce dall'universo di Blackmore: Bolin è un chitarrista innovativo, che guarda già agli anni '80, ai riff di un certo glam o se vogliamo sleazy rock (ascoltare la sua "Wild Dogs", che anticipa su diversi lati quello che sarà la norma per la maggior parte del rock fine '70 inizio '80).
Purtoppo Bolin scomparirà prematuramente solo un anno più tardi, il 4 dicembre 1976.


Questo live rappresenta quindi un'unica testimonianza dell'energia on stage di una formazione rinnovata e proiettata verso progetti di diversa natura, sempre guidata dallo spirito e dalla volontà del grande Lord, ma attraverso la potenzialità di giovani musicisti quali Coverdale e del compianto Bolin.

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