giovedì 5 maggio 2011

Extreme metal corner: Gorgoroth - Quantus possunt ad Satanitatem Trahunt


Una precisazione: scrivo su questo blog per portare alla luce album, vecchi e nuovi, che ritengo in qualche modo validi, a prescindere dal genere musicale.
Il motivo che mi ha portato a formare la rubrica “Extreme metal corner” è il seguente: data la difficile assimilazione di questi generi musicali da parte della maggior parte della gente (anche da chi si ritiene decisamente aperto mentalmente) ho pensato di trattare questi lavori “a parte”, in modo che chi non sopporta o non vuole aver a che fare con certe realtà musicali, per un modo o nell’altro, non si dia neanche il disturbo di leggere la prima riga.
Aggiungo anche che chi si ritiene di larghe vedute, e ancora prima di ascoltare, critica un gruppo come i Marduk piuttosto che i Dissection o gli Obituary piuttosto che i Dark Funeral, solo per il nome o per sentito dire (dato che questi generi musicali di certo non vengono aiutati dai media odierni, dove tutto quello che suona più forte dei Metallica è considerato “rock” satanico) è meglio che riveda le sue idee in campo musicale; oppure si informi, perché in radio, un tv o nella rete gira di molto peggio.
A rovinarci non sarà di certo un album dei Darkthrone.


Detto questo, vorrei porre alla vostra attenzione un album sul quale non avrei puntato un centesimo.
I Gorgoroth sono dall’inizio della loro carriera un gruppo di punta della scena black metal norvegese: formatisi nel 1992, danno alle stampe tra il 1994 e il 1997 tre album i quali segneranno le sorti della musica estrema, ovvero “Pentagram”, “Antichrist” e “Under the sign of hell”.
Il genere proposto dal gruppo è un black metal quanto mai ridotto all’osso: produzione “marcia”, blast beats a mille, velocità folli, distorsioni esasperate e scream vocals letteralmente infernali.
Musicalmente (e non solo), i Gorgoroth si impongono nel panorama dei primi anni ‘90 come una delle band più estreme provenienti dalla scandinavia.
Le tematiche più che mai esasperate, l’attitudine “true”, i veri fatti di cronaca non aiutano di certo la band nelle relazioni con il panorama musicale internazionale: dall’altra parte l’assoluta unicità di questo gruppo, veri e proprio precursori del black metal più oltranzista, fa si che in poco tempo diventi un vero e proprio oggetto di culto (è proprio il caso di dirlo).

Ci avevano lasciato nel 2006, con il settimo album, ovvero “Ad Majorem Sathanas Gloriam”, dove militava alla batteria Frost, leggendario batterista dei Satyricon e dei più recenti 1349 (oltre alla militanza nei bravi Keep of Kalessin).
Nel 2007 esce dalla line up il cantante, Gaahl, cosi’ come King ov Hell al basso: della line up rimane solo Infernus chitarrista e leader assoluto della band dalle origini.
La formazione si rinnova con l’entrata di Pest (voce), Boddell (basso) e Tomas Asklund (batteria).
Nel 2009 esce l’ultima fatica in studio, ovvero (dall’ennesimo titolo non proprio facile facile) “Quantus possunt ad Satanitatem Trahunt”.



Il disco scorre; scorre nel senso che fluisce bene, non si ferma, niente intoppi, sembra quasi di ascoltare una lunghissima suite (ammesso che se ne possa parlare nel black metal).
Tutti i brani sono permeati da una nuova atmosfera, che si allontana da quella ben più nota (nel bene e nel male) basata sulla provocazione e la violenza musicale fine a se stessa che era presente in parte alle origini; questa nuova atmosfera è decadente, è stranamente malinconica, quasi elegiaca.
L’andamento sofferto dei brani, il loro incedere multi ritmico (non solo basato su torrenziali blast beats) donano credibilità al tutto.
Con qualche precauzione non possiamo non notare una minima influenza dei leggendari Immortal: echi del magnifico “At the heart of Winter” (1999) risuonano vaghi, dove i tempi sono rallentati e la chitarra tesse melodie decisamente inusuali per i Gorgoroth sopra una sezione ritmica metronomica.
Ascoltare “Rebirth” o “New breed” per credere.
Non mancano i brani più “evil” come la traccia di apertura, dal sapore vagamente trash, “Aneuthanasia”, oppure la bellissima “Cleansing Fire”.
Apice massimo dell’arte dei Gorgoroth (a mio parere, ricordatevi!) è il brano “Satan-Prometheus”: l’apertura è affidata ad un riff dal sapore decisamente decadente che poggia sopra una pioggia di blast beats; un bel break dove il tempo prende respiro apre ad un piccolo refrain in clean vocals che non sfigurerebbe in un album dei primi Enslaved o gruppi simili.
Il tutto è coronato da una produzione finalmente all’altezza della situazione.
Gli altri brani si muovono tutti più o meno sulle stesse coordinate, tra ritmi da puro mid tempo, a cavalcate tipicamente gorgorothiane.

Come al solito mi sentirei di consigliare l’album a tutti coloro che vogliono ascoltare qualcosa di valido nel panorama estremo odierno.
Con le prossime recensioni nella rubrica “Extreme metal corner” mi occupero’ più in profondità di album storici e importanti per lo sviluppo del black e del death metal odierni.

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