lunedì 16 maggio 2011

Le Orme - Uomo di Pezza (1972)

Abbiamo parlato delle Orme di recente, concentrandoci su quel “Collage”, che usci’ nel 1971 portando con sé una ventata di freschezza nel panorama musicale italiano.
Infatti “Collage” dimostrava come la voglia di sperimentare, di assimilare le infinite influenze che provenivano dall’Inghilterra e dagli Stati Unita, di puntare a qualcosa di più che alla composizione di semplici canzonette da classifica era più che mai viva in una moltitudine di musicisti e band che non aspettavano altro che la scintilla di innesco.
L’album fu un vero e proprio fulmine a ciel sereno, con le sue divagazioni strumentali, l’organo di Pagliuca che si lanciava in soli frenetici, tra influenze classiche e attitudine psichedelica, il tutto senza mai rinnegare la forma della canzone tanto cara al pubblico italiano dell’epoca.
Il beat era infatti ancora il massimo al quale una giovane band doveva puntare per avere successo sicuro; ma il trio di Mestre non si accontenta più di scalare le classifiche con facilità, mantenendo un’immagine schiava della moda e del gusto del pubblico (se vogliamo, la figura dei Beatles e delle band inglesi della seconda metà del decennio precedente era più che mai pressante su chi si dedicava alla musica pop in italia).
Quale fu questa goccia che fece traboccare il vaso stagnante della musica italiana?
Un viaggio.
Fu proprio provvidenziale viaggio di Pagliuca (tastiere, organo e il nuovissimo,per l’Italia, sintetizzatore) in Inghilterra, dove venuto a contatto con le più disparate realtà rock e pop, da Jimi Hendrix agli Yes grazie all’amicizia con il fotografo specializzato in stampa musicale Armando Gallo, capisce come il beat non sia giunto che al suo tramonto e la nuova via della sperimentazione può aprire orizzonti inaspettati.
Al ritorno in Italia espone le idee agli altri due membri del gruppo (ricordiamo, Michi Dei Rossi alla batteria e Aldo Tagliapietra alla voce e basso/chitarra); qualche mese di ritiro in una baita in assoluta tranquillità, circondati solo da strumenti di ogni genere e dalle più disparate idee e spunti musicali, e i tre danno alla luce “Collage”.
Il resto è storia.





L’album di cui voglio parlare è il successivo, datato 1972; grandissimo successo discografico e ancor meglio grandissima prova di originalità e idee valide, “Uomo di Pezza” si colloca come uno dei lavori più rappresentativi della scena italiana, non ancora definibile progressive rock ma sulla buona strada per esserlo.
Infatti il genere era definito all’epoca semplicemente come “pop” (lo stesso Pagliuca da questa definizione in un‘intervista con Renzo Arbore risalente a circa un anno prima), cioè quanto bastava per rendere calzante la differenza col beat, visto come vero e proprio stile da superare e innovare.
L’introduzione bachiana (ispirata ad una ciaccona del fondamentale compositore) di “Una dolcezza nuova”, che apre l’album, è ampiamente rappresentativa del nuovo modo di comporre della band, maturata dopo la composizione di “Collage”; fondamentale anche l’acquisizione di una sicurezza maggiore sullo stile e sulla conduzione delle canzoni.
Notiamo da questo primo pezzo come la canzone, intesa come forma musicale, sia ancora la struttura prediletta dalla band, la quale non ancora compie il passo successivo, ovvero quello della “messa in crisi” della stessa, per avvicinarsi ad un processo compositivo che sarà tipico del progressive più maturo.
Con “Gioco di Bimba” siamo di fronte alla più grande hit delle Orme, vero e proprio successo discografico; questo non vuol dire che il brano sia musicalmente banale o obsoleto, anzi, risulta proprio innovativo nell’utilizzo di alcuni accorgimenti che esulano dalla normale canzone beat.
Innanzitutto un tempo diverso dai canonici quattro quarti oltre alla grande varietà coloristica degli strumenti della band, il tutto su una struttura a prima vista semplice ma non scontata.
Più interessante è però al successiva “La Porta chiusa”, canzone proposta ancora oggi nei live della band, dal grande impatto dato dal riff portante di synth e dalla seconda parte strumentale, senza dubbio definibile progressive e questa volta senza cautela.
Una introduzione a metà tra il sognante e l’acidità psichedelica apre “Breve Immagine”, che con il suo incedere si dimostrerà strettamente legata al panorama pop italiano, in contrapposizione con il brano più sperimentale di cui abbiamo parlato in precedenza.
Molto bella è “Figure di cartone”, dal testo malinconico e dall’andamento omogeneo, arricchita da un bel solo di Tony Pagliuca alle tastiere e dall’incedere ritmico e cadenzato della chitarra acustica.
Chiudono l’album “Aspettando l’alba” e “Alienazione”; il primo si dimostra come uno dei brani più belli dell’album, grazie alla melodia vocale e all’accompagnamento acustico contrapposto al suono elettronico e moderno delle tastiere e dei synth, mentre il brano conclusivo non è altro che un outro strumentale dove ogni componente della band dimostra una certa abilità tecnica sui propri “ferri” (sulla quale comunque non dubitavamo!).





In conclusione “Uomo di Pezza” è un grande album, fondamentale per capire una scena in evoluzione come quella italiana nei primi anni ‘70, e prova di come la musica la nostra penisola abbia vissuto tempi di grandissima ricchezza, fantasia e capacità musicale.

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